giovedì 8 febbraio 2007

Diversi con stizza

Parisi, ministro della Difesa, ha giudicato “irrituale” la lettera dei sei ambasciatori Nato agli italiani. D’Alema, dopo essersi caricato con un discorso ai Ds, ha preso carta e penna e ha scritto agli Usa dicendo che considerava la lettere un’ingerenza politica, un modo di mostrare mancanza di rispetto al Governo e al Parlamento italiani. Allora: ok, sono state violate le procedure. Ossia, ne sono state inventate di nuove, perché d’ora in avanti, se gli ambasciatori stranieri in Italia decideranno di nuovo di scrivere al popolo italiano, non si potrà più tanto facilmente starnazzare allo scandalo. Ma circa il contenuto, che ne pensiamo? Perché c’è un po’ questa abitudine di spostare l’attenzione sulla forma quando non si vuole approfondire la sostanza. Ci si scandalizza a tutto spiano se qualcuno fa delle battute di spirito e se qualcuno fa delle affermazioni iperboliche, si replica e si contro-replica esclamando “Inaudito!” e soprattutto: “Si commenta da solo!” che è il commento meno faticoso che esista (il contrario dialettico di “no comment”, del quale, comunque, occorre prendersi la responsabilità), quello preferito da Rutelli. Gli ambasciatori chiedono agli italiani (non potendolo chiedere al governo, il cui orientamento in fatto di politica estera è incerto nel migliore dei casi e anti americano e anti Nato in quello peggiore) di caldeggaire la riconferma della missione in Afganistan, perché non è il caso, adesso, di abbassare la guardia nella lotta contro i Talebani e Al Quaeda. A Parisi e D’Alema non è piaciuto, hanno protestato e gli americani hanno risposto con due argomenti principali: il primo è che ritengono del tutto normale ricorrere alla strategia comunicativa di fatto adottata e quindi non pensano di aver commesso “ingerenze”. Il secondo invece, si può riassumere con la seguente osservazione: non sapete riconoscere gli amici. Forse questa è l’affermazione più vera: infatti, probabilmente, con la loro lettera gli ambasciatori volevano dare al nostro governo l’occasione di dire all’estrema sinistra: vedete in che situazione ci mettete? Invece, la reazione è stata piccata. Forse era un gioco delle parti, per rassicurare la sinistra anti Nato sul fatto che Parisi e D’Alema si preoccupavano soprattutto e a caldo della sua sensibilità, perché a ragionare sui contenuti c’era tempo e poi nessuno (nemmeno gli ambasciatori stranieri) doveva dubitare: a) che Prodi avesse ben saldo in mano il timone della sua maggioranza; b) che con la sinistra estrema si potesse ragionare (perché basta promettere le cose giuste in cambio e tutti i nodi possono sciogliersi, anche le questioni di principio più pure e più dure); c) che D’Alema non sapesse fare il suo mestiere. Ossia, il giocatore su più tavoli. Non è facile per uno cresciuto in un Pci in cui andavano difese sempre e comunque tutte le scelte di politica estera sovietiche imparare a giocare su più tavoli: è un esercizio che richiede il suo tempo e il suo sforzo. E’ una cosa per imparare la quale occorre andare per gradi. Intanto, prima ci si smarca da qualunque posizione preconcetta, non consentendo a nessuna signorina Condy Rice di dare nulla per scontato. Naturalmente, per gli Usa vale lo stesso discorso che – a sinistra - viene fatto per Israele: non ce l’abbiamo con lo Stato, ce l’abbiamo col governo in carica. E allora, se il prossimo presidente americano sarà un democratico (e non un repubblicano) che deciderà, magari perché costretto, a dichiarare la guerra all’Iran, noi saremo a favore della guerra all’Iran? Siamo solo capaci di giocare di rimessa? Anche qui c’è il sospetto che sia più una questione di forma che di sostanza: bisogna marcare la differenza con il governo precedente. Berlusconi andava a trovare Bush e si sentiva talmente a suo agio da avere atteggiamenti - anche lì -”irrituali”: adesso, dobbiamo cambiare la danza, si cambia passo e con gli americani bisogna fare la voce grossa. Anzi, si fa dell’ironia sul fatto che gli americani, poveretti, vanno aiutati soprattutto a riparare agli sbagli che fanno (perché se non facessero niente non sbaglierebbero, come insegna il buon senso popolare); della serie: da te non voglio lezioni, ma sono pronto a dartele in qualsiasi momento. Atteggiamento tipico di chi ha un ego ipertrofico. Non c’è niente di male ad avere un ego ipertrofico se tale ipertrofia è giustificata. Ma attenzione: meglio esercitare sempre il senso del ridicolo preventivamente. Ricordiamoci che quella vecchia volpe di Francesco Cossiga ha soprannominato D’Alema “il nostro Chamberlain”. Chamberlain era quel il ministro degli esteri di Sua Maestà Britannica che sventolò di fronte alle cineprese del cinegiornali di tutto il mondo la lettera che Hitler gli aveva firmato per assicuragli che non avrebbe mai invaso la Polonia. Quindi, a scanso di equivoci, andrebbe elaborata una politica estera comprensibile e coerente, se si vuole comunque agire in alternativa a un’alleanza sancita dalla nostra Repubblica a partire dal dopoguerra. Bisognerebbe, come si diceva un tempo, che qualcuno desse la linea. Bisognerebbe decidere da quale parte si sta anche su altri fronti: cosa si pensa della Cecenia, del problema basco, della permanenza della Gran Bretagna nell’Ulster, dei rapporti tra India e Pakistan, di quelli tra Cina e Tibet, delle infinite guerre africane, delle difficoltà economico politiche che stanno riportando le dittature in Sud America. Non limitarsi a monitorare spasmodicamente solo e soltanto quello che succede a Gaza. Non basta invocare l’intervento dell’Onu né sollecitare tavolate diplomatiche. Ecco: è da questa sensazione di indefinitezza, che bisognerebbe uscire. Mettendo qua e là qualche punto fermo. Magari partendo da due discriminanti irrinunciabili, due parole toste come “libertà” e “democrazia”. Senza considerare questo un atto “politicamente scorretto” in quanto discriminatorio e tale da rendere molto complicato giocare su tutti i tavoli. Perché è questo che succede oggi a sinistra: pur non essendoci più l’ideologia, c’è la presunzione di non sbagliare un colpo, di sapere sempre da che parte sia la giustizia. Ci si affida alla sensibilità: si pensa che qualunque dittatura (da quella di Assad a quella di Chavez) può al limite andar bene purché non sia dichiaratamente nazista e che la democrazia sia pleonastica, se ne può anche fare a meno, l’importante è pensarla in modo diametralmente opposto agli americani. Ma così è troppo facile. Noi italiani è da qualche generazione che andiamo scuola, siamo abbastanza scolarizzati: se mi vuoi convincere che hai ragione, devi dirmi cosa pensi e perché. Non mi bastano gli aggettivi e le reazioni stizzite: voglio tutto il ragionamento.